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Cipolla: Lo sviluppo tecnologico fra 1000 e 1700
Lo sviluppo tecnologico fra 1000 e 1700

A partire dall'Alto Medioevo la tecnologia, cui il mondo greco-romano aveva guardato con diffidenza quando non con aperta ostilità, acquista un ruolo preminente, in particolare sul versante della meccanica. Nel periodo considerato, numerosissime sono le applicazioni e le invenzioni, e tali da trasformare profondamente il volto economico e sociale del mondo europeo. Nell’estratto che segue, parte della sua fondamentale Storia economica dell’Europa preindustriale (1974), lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla illustra quella serie di innovazioni tecnologiche che – parallelamente agli sviluppi prodottisi in campo economico e culturale – concorsero a segnare il predominio mondiale dell’Europa nei secoli XVIII e XIX.


È un luogo abbastanza comune nella storia della tecnologia l’affermazione che dopo una serie di innovazioni rivoluzionarie a partire circa dal 2500 a.C. vi sia stata nel mondo occidentale una fase di lungo, secolare ristagno [come ha scritto S. Lilley in un suo saggio sullo sviluppo tecnologico].

Intorno al 2500 a.C. lo sviluppo tecnologico venne praticamente a un punto di stallo, e nel corso dei tre mila anni successivi vi fu relativamente poco progresso ulteriore. La metallurgia del ferro sviluppatasi attorno al 1400 a.C. fu di importanza. I Greci innovarono qualcosa nell’applicazione dell’energia animale… Qualche altro meccanismo come ingranaggi, viti e camme datano dall’età classica. Ma, insomma, quando raffrontati alla rivoluzione che li precedette, questi trenta secoli tra il 2500 a.C. e il 500 d.C. rappresentano un periodo di ristagno tecnologico.

Il mondo greco e soprattutto il mondo romano, pur altamente creativi in altri campi dell’umana attività, restarono, secondo questo modo di vedere, stranamente inerti nel campo tecnologico. Di Roma si citano di continuo il classico esempio del mulino ad acqua e l’aneddoto vero o falso di Vespasiano. Il mulino ad acqua era noto ai Romani ma essi ne costruirono relativamente pochi e continuarono a far largo uso di mulini mossi mediante energia umana o animale. Di Vespasiano Svetonio dice che, venendogli offerto da un ingegnere del tempo il piano di macchine che avrebbero permesso di risparmiare sull’uso di lavoro umano in certe costruzioni, l’imperatore pur premiando l’inventore, rifiutò di far costruire le macchine “onde permettere alla plebicula di sfamarsi”.

Partendo da osservazioni del genere, gli storici si sono dati a indagare le possibili ragioni di questo “fallimento” del mondo classico, e c’è chi ha voluto individuarne la causa principale nell’abbondanza di mano d’opera, chi ha voluto vederne i presupposti nel tipo di cultura e di interessi prevalenti nella società, chi in tutte e due le cose insieme. Forse il “fallimento” tecnologico romano viene un po’ esagerato perché si tende a identificare semplicisticamente la tecnologia con la meccanica. Fatti quali l’organizzazione politico-amministrativa, l’organizzazione militare, le costruzioni stradali e architettoniche, e anche fatti artistici quali gli affreschi ebbero un contenuto di innovazione tecnologica.

Resta vero comunque che, come scrisse Gian Antonio Gilli, “se oggi si guarda alla tecnica come a un vettore essenziale della società e del progresso di cui è impossibile non tenere conto e al quale occorre anzi adeguare tutte le altre parti della società, la posizione dei Greci [e dei Romani] fu piuttosto quella di un uso di technai difensive nei confronti delle technai stesse: un uso fatto di cautele, di limitazioni e spesso di dichiarata ostilità”. Miti e aneddoti convergono nel denunciare il predominio di una dubbiosa ambivalenza. Il progresso tecnico era riguardato come possibile apportatore di più o meno dubbi vantaggi materiali ma anche temuto come possibile fonte di pericolosi turbamenti politici, sociali ed ecologici. La singolare duplicità dell’atteggiamento dei Greci e dei Romani verso la techne si traduceva anche in un “disfavore sociale verso i portatori di techne, fenomeno che caratterizzava vistosamente l’antichità classica”.

Col Medioevo nell’Europa occidentale le cose cambiarono drasticamente. A partire dai secoli dell’Alto Medioevo si iniziò un periodo in cui le innovazioni tecnologiche si succedettero a un ritmo progressivamente sempre più intenso con un’accentuazione appena avvertita agli inizi ma poi progressivamente sempre più marcata sul fatto meccanico, a tal punto che nel Seicento la stessa filosofia e la concezione dell’universo in Europa divennero dominate da un punto di vista puramente meccanico, e si assistette a quella che Dijksterhuis ha chiamato “la meccanizzazione della concezione dell’Universo”.

Uno schematico inventario dei maggiori progressi tecnologici dell’occidente dal secolo VI all’XI deve includere:

dal secolo VI: a) diffusione del mulino ad acqua;
dal secolo VII: b) diffusione nell’Europa settentrionale dell’aratro pesante;
dal secolo VIII: c) diffusione della rotazione agraria triennale;
dal secolo IX: d) diffusione dell’uso del ferro di cavallo;
e) diffusione dell’uso del basto per cavalli;
f) diffusione dell’attracco a tandem degli animali da traino.

Al proposito conviene fare almeno tre osservazioni:

a) Le innovazioni di cui sopra non furono “invenzioni” vere e proprie. Il mulino ad acqua era già conosciuto dai Romani. L’aratro pesante sembra sia di derivazione slava. L’uso di ferrare i cavalli pare fosse noto ai Celti prima delle conquiste di Roma. Il basto per cavalli originò nella lontana Cina. Quel che gli europei dimostrarono nei secoli dal VI al X non fu tanto una capacità inventiva quanto una notevole capacità di assimilazione. Seppero prendere certe idee buone là dove le trovarono e le applicarono all’attività produttiva. Forse su questa attitudine influì la mentalità fresca delle popolazioni barbariche. Lo stesso orgoglio che aveva indotto i Romani a chiamar barbari tutti coloro che non facevano parte dell’impero aveva reso il mondo romano scarsamente ricettivo a idee e stimoli esterni. Lo stesso dicasi per l’impero cinese. Quando le popolazioni germaniche si stanziarono nelle terre dell’impero d’occidente, la loro attitudine mentale era invece di piena ricettività.

b) Tutte le innovazioni suaccennate si riferivano sostanzialmente all’attività agricola: poiché l’economia era quasi esclusivamente agricola, la cosa non stupisce. Combinandosi insieme comunque le varie innovazioni si potenziarono vicendevolmente. Come scrisse il prof. Lynn White Jr.:

L’aratro pesante, i campi aperti, l’integrazione dell’agricoltura con l’allevamento, la rotazione triennale, il nuovo basto per cavalli, il ferro da cavallo si combinarono in un sistema di produzione agricola tale che intorno al 1100 era oramai in grado di creare una vasta area di prosperità agricola dall’Atlantico al Drepr.

c) Talune delle innovazioni in questione permisero un più efficiente sfruttamento energetico del cavallo. Contemporaneamente – e le due cose furono evidentemente collegate – in tutta Europa si incrementò notevolmente l’allevamento dei cavalli e si cercò anche di migliorarne le razze, importando cavalli dai Paesi musulmani.

In effetti il cavallo sostituì sempre più di frequente il bue. Dal 1160 in Piccardia diventano sempre più frequenti le menzioni di lavori fatti con i cavalli, mentre le allusioni all’aratro trainato da buoi scompaiono quasi del tutto dai documenti piccardi all’inizio del secolo XIII. In una tenuta dell’Abbazia di Ramsey (Inghilterra) il numero dei buoi, tra il 1125 e il 1160, risultò dimezzato, mentre quadruplicò quello dei cavalli da tiro. “Il cavallo costa più del bue” scrisse Walter di Henley nel suo trattato trecentesco di agricoltura pratica. Però il cavallo è più robusto e più veloce del bue e riesce perciò a compiere un maggior lavoro e in tempo più breve. Sostanzialmente la sostituzione del cavallo al bue significò il ricorso a un tipo di capitale più costoso, ma più efficiente. La vicenda del cavallo fu parallela a quella del ferro. La quantità di ferro presente negli attrezzi agricoli era, a quanto sembra, estremamente limitata prima del Mille. Col secolo XII però attrezzi di ferro, più costosi, e più efficienti, compaiono sempre più frequentemente nella documentazione. In quell’area di barbarie che era l’Europa occidentale del tempo, fu senz’altro con un occhio alla maggiore efficienza bellica che vennero promosse sia la lavorazione dei ferro che l’allevamento dei cavalli. Però poi l’uso del cavallo come quello del ferro passarono, durante il secolo XII, dal mondo dei signorotti a quello dei contadini. Fu infatti durante il secolo XII che venne perfezionato l’aratro, almeno nelle zone di più fiorente agricoltura. Parti in ferro vennero aggiunte alla struttura di legno (ai tempi dei Carolingi l’aratro era stato esclusivamente di legno) e così venne resa più potente l’azione delle sue parti a contatto con il suolo. L’adozione di tipi di capitale più efficienti rese possibili sostanziali incrementi nella produttività. A sua volta, il progresso nella produttività rese possibile l’adozione di forme di capitale più costose ma più efficaci. Di pari passo si ebbero sviluppi del “capitale umano” sotto forma di tecnici abili nel praticare le nuove tecnologie. Il diffondersi della figura del fabbro di villaggio è stata studiata per la Piccardia. Di tale presenza non si ha traccia prima degli inizi del secolo XII. Poi compaiono qua e là nelle fonti tra il 1125 e il 1180 ben trenta fabbri. Alla fine del secolo c’era un fabbro attivo in dieci dei trenta villaggi che erano sotto la giurisdizione della prioria di Hesdin.

Uno dei fatti più importanti del Medioevo europeo fu la diffusione del mulino ad acqua. Questo marchingegno era già noto ai Romani che però ne fecero un uso molto limitato. La diffusione del mulino ad acqua in Europa ebbe luogo tra il VI e il VII secolo. Fu allora che i signori feudali, laici o ecclesiastici che fossero, uno dopo l’altro fecero costruire sui propri possedimenti un mulino ad acqua, obbligando i loro servi a far uso del mulino signorile per la macinazione del grano e proibendogli di macinare il grano in casa come avevano sempre fatto. In altre parole, i signori feudali del tempo stabilirono a loro beneficio il monopolio della macinazione del grano che venne ad aumentare il loro reddito, mentre contemporaneamente aumentava il carico fiscale dei servi. L’operazione si dimostrò eccezionalmente redditizia e i mulini ad acqua spuntarono come funghi in ogni angolo d’Europa. Fino al secolo X i mulini ad acqua europei servirono esclusivamente alla macinazione del grano e ciò non stupisce se si considera che l’economia europea era essenzialmente agricola. Intanto, gli europei si familiarizzarono con questo motore capace di fornire notevoli quantità di energia inanimata. Quando nei secoli XI e XII l’economia europea si sviluppò in senso manifatturiero man mano che città e manifatture andarono crescendo e moltiplicandosi, i mulini ad acqua non solo aumentarono ma furono sempre più adattati alle più diverse produzioni. Forse già attorno all’822 e certamente nell’861 in Piccardia vi erano mulini ad acqua usati per preparare il malto necessario alla fabbricazione della birra. L’adattamento del mulino a questo tipo di lavorazione implicava l’introduzione di nuovi meccanismi, in particolare di una serie di martelli verticali attivati da camme e inseriti su uno degli assi del mulino.

Tra il 960 e il 1060 si iniziò a far uso di mulini ad acqua per follare il panno a Penne, Verona, Parma, Milano e Firenze. Alla fine del secolo XI l’uso del mulino ad acqua nella follatura del panno aveva raggiunto Grenoble e Lérins e presto si diffuse nel resto della Francia, in Inghilterra e in Germania. L’adozione del nuovo processo rivoluzionò l’industria tessile nel tempo tanto che Carus-Wilson descrivendo tali sviluppi in Inghilterra intitolò un suo classico articolo Una rivoluzione industriale del tredicesimo secolo. L’industria tessile inglese che sino allora era rimasta prevalentemente concentrata nelle zone sud-orientali del Paese, si spostò nelle zone nord-occidentali dove l’esistenza di corsi d’acqua adeguati rendeva possibile la costruzione di mulini.

Con la seconda metà del secolo XII la forza motrice derivata dall’energia idraulica venne applicata, mediante l’adozione di nuovi meccanismi, alle lavorazioni più diverse. L’impiego di mulini ad acqua nella lavorazione del ferro è testimoniato in Stiria nel 1135, in Normandia nel 1204, nella Svezia meridionale nel 1224, in Moravia nel 1269. Nel 1204 in Normandia un mulino azionava seghe per legname. Mulini erano impiegati nella lavorazione della carta a Fabriano nel 1276, a Troyes nel 1338 e a Norimberga nel 1390.

Il mulino a vento originò forse in Persia nel secolo VII d.C. In Europa comparve verso la fine del secolo XI. Secondo un’antica tradizione impossibile da controllare, l’idea della nuova macchina fu portata in Europa dai Crociati di ritorno dalle loro imprese. Il mulino europeo però fu sin dagli inizi cosa ben diversa dal mulino persiano. Mentre il mulino orientale aveva le ali montate su un asse verticale, il mulino europeo ebbe sempre la struttura che tutti noi conosciamo, con le ali cioè montate su un asse orizzontale. Come nel caso del mulino ad acqua inizialmente i mulini a vento furono costruiti per macinare grani, ma in prosieguo di tempo l’energia meccanica da essi prodotta fu sempre più applicata alle lavorazioni più diverse. Nel secolo XVI in Amsterdam c’erano mulini a vento per filare la seta, per stampare nastri, per follare il panno, per battere il corame, per pressare le olive, per produrre polvere da sparo, per produrre carta e per varie produzioni e lavorazioni metallurgiche.

Per capire l’importanza dell’estensione dell’uso dei mulini a processi produttivi nel settore manifatturiero occorre considerare tale fatto sullo sfondo della cronica deficienza di energia di cui soffriva la società. D’altra parte l’espansione dell’uso dei mulini fu un aspetto di un più ampio fenomeno, dell’adozione cioè di tutta una serie di rilevanti innovazioni in attività non agricole.

Qui di seguito citerò soltanto le innovazioni più importanti. Verso la metà del secolo XI comparve nelle Fiandre e forse nella Champagne il telaio verticale. Il secolo XII vide l’adozione della bussola. Tra la fine del secolo XII e la metà del secolo XIII la navigazione mediterranea fu rivoluzionata da tutta una serie di innovazioni tecnologiche interrelate che inclusero:

il perfezionamento della bussola magnetica;
l’adozione della clessidra per la misurazione del movimento della nave;
la redazione di carte nautiche (portolani) con relative istruzioni;
la compilazione di tavole trigonometriche per la navigazione (tavolate di marteloio);
l’adozione del timone di poppa sulla linea centrale della nave.


Queste innovazioni resero possibile la navigazione strumentale o matematica, il che a sua volta rese possibile una maggior utilizzazione del capitale navi. F.C. Lane ha dimostrato che nel corso del secolo XIII il periodo invernale d’inoperosità delle navi fu progressivamente raccorciato e che nell’ultimo quarto del secolo una nave riusciva a fare in un anno due viaggi di andata e ritorno attraverso il Mediterraneo navigando anche d’inverno.

Nel secolo XIII comparve la ruota per filare e nel 1306 fra Giordano da Pisa in un sermone letto in Santa Maria Novella a Firenze ricordava che una ventina d’anni prima erano stati inventati gli occhiali. Al tempo di Dante la gente doveva avere la sensazione di vivere in un mondo ricco di innovazioni tecnologiche. Teodorico, vescovo di Bitonto, scriveva nel 1267, a proposito di strumenti chirurgici, che “quotidie instrumentum novum et modus novus, sollertia et ingenio medici invenitur” [non passa giorno che grazie alla solerzia e all’ingegno di un medico non compare uno strumento nuovo e una tecnica nuova]. E fra Giordano da Pisa nel suo sermone già ricordato affermava che “ogni giorno si scopre una nuova arte”.

Il progresso comunque non si fermò lì. Agli inizi del Trecento comparvero i primi orologi e le prime armi da fuoco. Il secolo XIV vide l’invenzione delle chiuse per canali. Nel corso del Quattrocento fu sviluppata la nave a vela oceanica. Questo tipo di nave combinava il meglio della tradizione marinara mediterranea e di quella nordica. Lo scafo era del tipo a caravella ma la grande innovazione consistette nello sviluppo della velatura su tre alberi con la combinazione della vela quadra nordica con la vela latina (triangolare). Tale combinazione fu via via perfezionata e le grosse vele quadre delle carrache vennero in seguito sostituite da gruppi di vele legate ai vari pennoni. Tutto ciò permise un più efficiente uso dell’energia colica per il movimento della nave. Come conseguenze economiche immediate si ebbero un incremento nella portata media delle navi, una maggior rapidità dei trasporti e una diminuzione dei costi relativi.

Mentre questi progressi venivano attuati nel settore delle costruzioni navali, progressi corrispondenti venivano compiuti nel campo delle tecniche di navigazione in mare aperto. Quando nel 1434 i Portoghesi riuscirono a doppiare il formidabile e temuto Capo Bojador sulla costa occidentale dell’Africa, essi dovevano aver elaborato sistematiche conoscenze circa il regime dei venti dell’Atlantico. Prima del 1480 essi appresero a calcolare la latitudine convertendo mediante tavole di declinazione l’altitudine del sole e della stella polare sull’orizzonte. Il quadrante per la misura dell’altitudine deve essere entrato in uso attorno al 1450 e nel 1480 era in uso l’astrolabio. Tali innovazioni furono una delle condizioni che resero possibile l’espansione oceanica dell’Europa la quale mutò il corso della storia.

Un’altra innovazione tecnologica di portata incalcolabile fu quella della stampa. L’uso di stampare disegni o caratteri mediante blocchi di legno debitamente incisi rimonta molto addietro nel tempo e il più antico libro a stampa conservatoci rimonta ai tempi dell’imperatore Hsuan Tsung (secolo IX). Nel secolo XV però in Occidente si trovò il modo di comporre testi a stampa mediante l’uso non di blocchi ma di caratteri mobili. In principio creavit Deus coelum et terram: queste sono le prime parole del primo libro stampato con caratteri metallici mobili, la Bibbia pubblicata da Gutenberg a Magonza nel 1455. Prima di questo evento i libri erano una merce così costosa che poca gente poteva permettersi il lusso di possederne. In Spagna attorno all’anno 800 un libro, ovviamente manoscritto, costava presso a poco come due mucche. In Lombardia tra la fine del Trecento e la fine del Quattrocento un comune libro di medicina costava in media quanto mantenere una persona per tre mesi e un libro di legge costava come mantenere una persona per circa sedici mesi. Finché i libri rimasero così costosi c’era poca speranza di diffondere l’istruzione e la cultura su larga scala. L’invenzione di Gutenberg aprì una nuova era. Come la nave a vela sviluppata nel Quattrocento aprì agli Europei nuovi orizzonti geografici così l’invenzione della stampa a caratteri mobili aprì agli Europei nuovi orizzonti e opportunità nel campo dell’istruzione e della cultura.

Come si è già notato per il periodo precedente, molte delle innovazioni attuate in Europa dopo il secolo XI furono adattamenti di idee sviluppate altrove. Come si è già detto, il mulino a vento fu forse inventato nella Persia orientale verso il secolo VII e l’idea di questo mulino fu forse portata in Europa dai Crociati. La ruota per filare comparve in Cina nel secolo XI, circa un secolo prima che in Europa. La bussola gli Europei la impararono dagli Arabi. La polvere da sparo con ogni probabilità fu un’invenzione cinese.

L’Europa continuava a dimostrare una straordinaria capacità ricettiva e la curiosità entusiastica di un Marco Polo è indicativa di una mentalità quanto mai aperta. Ma non ci si fermò lì. A partire dal secolo XII in poi l’Europa occidentale sviluppò una originalità inventiva che si tradusse in un rapido crescendo di idee nuove. Gli occhiali, l’orologio meccanico, l’artiglieria, i nuovi tipi di nave a vela e le nuove tecniche di navigazione, la stampa con caratteri mobili assieme a mille altre innovazioni piccole e grandi furono il prodotto originale della curiosità sperimentale e dell’immaginativa europee. Va anche notato che quando l’Europa del tempo assimilò idee nuove dal di fuori, non lo fece in maniera puramente passiva ma sovente attuò le idee stesse e le adattò alla situazione locale con distinti elementi di originalità. Come abbiamo visto il mulino a vento persiano era costruito ad asse verticale. Il mulino a vento che si diffuse in Europa fu del tipo che oggi conosciamo, a grandi pale e con asse orizzontale: una macchina molto più efficiente di quella originariamente ideata dai Persiani. La polvere da sparo fu inventata dai Cinesi, che però la usarono soprattutto per giochi d’artifizio. L’adozione della polvere da sparo da parte degli Europei si accompagnò alla fabbricazione di armi da fuoco, il cui tipo venne rapidamente perfezionandosi, tanto che quando ai primi del Cinquecento gli Europei arrivarono in Cina a bordo dei loro galeoni, i Cinesi restarono sbalorditi e terrorizzati dalle armi occidentali. La carta fu inventata in Cina e si diffuse nell’impero islamico nel corso del secolo VIII. I Bizantini, tipicamente chiusi e conservatori, non impararono mai a fabbricare la carta. Gli Europei impararono questa tecnica nel corso del secolo XIII. La comparsa delle prime cartiere a Fabriano e a Xativa rappresenta il trapianto in Europa di un’idea nata altrove. Ma mentre la produzione della carta fuori d’Europa rimase sempre a livello di produzione manuale, è tipico il fatto che in Occidente la preparazione della pasta fu attuata con macchinari mossi da mulini ad acqua.

In effetti uno dei caratteri di originalità nello sviluppo tecnologico dell’Occidente fu il crescente accento posto sull’aspetto meccanico. La ragione ultima di questo fatto è difficile da cogliere. Si può dibattere se la scarsità di mano d’opera provocata dalle continue pestilenze abbia favorito o no questa tendenza, ma sarebbe assurdo ricondurre un fenomeno per sua natura estremamente complesso a un determinismo così semplicistico.

Il caso dell’orologio meccanico è particolarmente significativo (e non si dimentichi che l’orologio fu la prima macchina di precisione prodotta dall’Occidente).

L’uomo imparò presto a misurare il tempo, e gli strumenti tradizionali usati allo scopo furono la meridiana e la clessidra. Occasionalmente si usarono anche barre di materiale combustibile (incenso o cera) debitamente graduate, che bruciando marcavano il passare del tempo. L’Europa dell’Alto Medioevo ereditò questi mezzi e non ne aggiunse altri.

Ma almeno dal secolo XIII ci fu gente in Europa che si ruppe la testa per trovare una soluzione meccanica al problema. Nel 1271 Roberto Anglico scriveva di questi progetti, pur ammettendo che la soluzione non era stata ancora trovata. Pochi decenni più tardi però orologi meccanici battevano le ore sui campanili delle chiese di Sant’Eustorgio e di San Gottardo a Milano e della cattedrale di Beauvais. Alla metà del Trecento il medico Giovanni de’ Dondi, chiamato poi maestro Giovanni dall’Orologio, produsse un capolavoro di meccanica che indicava automaticamente i giorni, i mesi, gli anni e le rivoluzioni dei pianeti.

La soluzione meccanica al problema della misurazione del tempo fu trovata con tutta probabilità nell’Italia settentrionale. È stato affermato da molti che l’orologio meccanico fu scoperto e si diffuse rapidamente nel resto dell’Europa perché nel clima dell’Europa continentale l’acqua ghiacciava nelle clessidre durante gli inverni e le nubi rendevano troppo sovente inutili le meridiane. Una spiegazione del genere offre un ennesimo esempio di determinismo molto semplicistico e poco intelligente. I primi orologi marcavano il tempo così imperfettamente che dovevano continuamente venir corretti e la correzione veniva fatta da appositi “governatori d’orologi”, i quali mandavano avanti o indietro la lancetta dell’ora (la lancetta dei minuti apparve solo molto tardi) proprio sulla base di meridiane e di clessidre. È evidente quindi che è assurdo parlare dei primi orologi meccanici come di più efficienti sostituti di clessidre e meridiane.

Il “perché” gli Europei produssero l’orologio meccanico è un “perché” ben più sottile. Qualche anno fa P.G. Walker scrisse:

La ragione per cui la macchina originò in Europa va cercata in termini umani. Prima che gli uomini potessero sviluppare e applicare la macchina come fenomeno sociale occorreva che gli uomini stessi diventassero meccanici.

Gli uomini del secolo XIII pensarono alla misurazione del tempo in termini meccanici perché avevano cominciato a sviluppare una mentalità meccanica, di cui i complicati mulini e le batterie di campane sui campanili del tempo sono efficace testimonianza. Gli orologi si diffusero presto per tutta l’Europa, ma non ci si limitò a produrre quadranti, lancette e motori. Sulle torri comunali a Basilea come a Bologna, sui campanili delle chiese o all’interno delle chiese come a Strasburgo e a Lund si costruirono complicatissimi orologi, in cui l’indicazione dell’ora era un fatto quasi accidentale che si accompagnava a rivoluzioni di astri, a movimenti e piroette di angeli, santi, madonne, magi e personaggi del genere. Questi macchinari testimoniano ad usura un gusto irrefrenabile per il fatto meccanico. Questo gusto raggiunse forme esasperate nel corso del Rinascimento e ne ritroviamo l’espressione più chiara nei disegni di Leonardo. Mentre gli artisti del lontano Oriente si dilettavano nel dipingere fiori, pesci e cavalli, gli artisti dell’Occidente erano affascinati dalla macchina e i libri di meccanica si moltiplicarono nel corso dei secoli XVI e XVII.

Se nel Seicento, all’epoca della Rivoluzione scientifica, la branca del sapere più avanzata fu la meccanica, se la caratteristica stessa della Rivoluzione scientifica fu, come è stato detto, la “meccanizzazione della concezione del mondo” tutto ciò non fu un fatto aberrante e nuovo: fu la logica ed ultima conseguenza di un’attitudine mentale maturata nei secoli precedenti.

Un elemento caratteristico della mentalità medievale fu l’abbandono dell’“animismo”, che aveva caratterizzato il concetto di natura nutrito dai classici come dalla maggior parte delle altre culture nei quattro angoli del mondo. Il tema dominante nella concezione del mondo sia greco-romano sia orientale è quello di un’armonia tra uomo e natura, un rapporto che presupponeva però nella natura forze inviolabili cui l’uomo doveva fatalmente sottomettersi. I miti di Dedalo, Prometeo e della torre di Babele erano lì a indicare il destino di chi tentasse di rovesciare il rapporto uomo-natura pretendendo di asserire il predominio dell’uomo ed è significativo che quando gli abitanti di Cnido chiesero all’oracolo di Delfi il suo giudizio sull’opportunità di scavare un canale che tagliasse l’istmo della loro penisola, l’oracolo rispose: “Giove avrebbe fatto un’isola invece di una penisola se questo fosse stato il suo desiderio”.

Il mondo medievale misteriosamente ruppe questa tradizione. Tecnicamente ancor troppo arretrati per dominare di fatto la natura in un grado apprezzabile, gli Europei del Medioevo si rifugiarono nel mondo dei sogni. All’”animismo” degli antichi e degli orientali si sostituì il culto dei santi. I santi non erano né demoni né spiriti strani: erano uomini – uomini in grazia di Dio, ma pur sempre uomini – le cui fattezze tutti vedevano sui portali o all’interno delle chiese: volti di ogni giorno, volti che la gente incontrava di continuo tra i propri simili. Questi “santi” non si adagiavano nell’immobilismo ieratico dei santoni orientali né si divertivano, come gli dei greci, a punire gli uomini per la loro audacia. Al contrario, si davano di continuo da fare per dominare le forze avverse della natura e sconfiggevano le malattie, calmavano i mari in burrasca, salvavano i raccolti dalle tempeste e dalle cavallette, ammorbidivano la caduta di chi precipitava in un burrone, bloccavano gli incendi, facevano galleggiare i naufraghi, dirigevano battelli pericolanti tra gli scogli. Questi i sogni dell’uomo medievale. Dominare la natura non era peccato. Era miracolo. E credere nei miracoli è il primo passo per renderli possibili. Inesorabilmente, inavvertitamente, l’uomo medievale si mosse nella direzione di rendere quei miracoli meno funzione dell’azione dei santi e più funzione dell’azione propria.

A secoli di distanza i problemi tragici dell’inquinamento e della sovrappopolazione ci ripropongono i temi di Dedalo, di Prometeo e della torre di Babele. In un avvenire abbastanza prossimo forse l’uomo dovrà fare un armistizio con la natura o addirittura potrà subire sconfitte drammatiche. Ma non v’ha dubbio che nel corso dei secoli dall’XI al XX l’Europa occidentale non ha fatto che sognar miracoli per poi renderli possibili.

Le “spiegazioni” facili di complessi fenomeni storici affascinano la gente, proprio perché sono facili e quindi “comode”. La “spiegazione” piace. La “problematica” irrita. Eppure la “spiegazione” è il più delle volte irraggiungibile, mentre la “problematica” resta sovente la sola cosa valida.

Sarebbe comodo poter dire che il mondo greco-romano non si sviluppò tecnologicamente perché aveva abbondanza di schiavi, mentre l’Europa medievale e rinascimentale produsse un notevole sviluppo tecnologico in reazione alla scarsità di forza lavoro provocata dalle epidemie. Ma i fattori in gioco furono certamente ben più complessi e numerosi. Quanto accennato sia pur brevemente nelle pagine precedenti circa attitudini mentali e aspirazioni può servire a mettere in guardia contro le “spiegazioni” facili, ma non ha la pretesa di proporre soluzioni alternative. “L’attitudine ricettiva” dell’Europa, la sostituzione dell’animismo naturale con il culto dei santi e con la fede nel miracolo, il sorgere e la diffusione di una mentalità meccanicistica, queste e altre cose del genere non sono “spiegazioni” ma solo temi di una più vasta e più intricata “problematica”.

Nelle pagine precedenti si è soprattutto accennato alle innovazioni tecnologiche più rilevanti. È quasi ineluttabile che nella storia della tecnologia si finisca col concentrare l’attenzione sulle tappe drammatiche e sui fatti clamorosi. Ma il progresso tecnologico del Medioevo e del Rinascimento non fu fatto tanto di grandi novità clamorose quanto piuttosto di continui, umili miglioramenti e successivi perfezionamenti, frutti di una pratica artigianale che per quanto ammirabile non fu mai né dotta né sistematica. Anche quelle che a noi sembrano ex post grandi innovazioni non furono in genere il risultato di ricerche teoriche e sistematiche da parte di scienziati. Come vedremo in seguito la scienza così come la intendiamo noi oggi non era ancora nata e ricerca e scienziati non esistevano ancora. Quanto si compì, di drammatico o di umile, fu in genere il risultato cumulativo di un quotidiano processo di piccola sperimentazione ad opera di un gran numero di artigiani di cui per lo più noi oggi ignoriamo persino il nome.

Comunque risultato sostanziale di tutto quel complesso movimento di innovazioni e perfezionamenti fu un progressivo aumento di produttività. Ovviamente alcuni settori sperimentarono incrementi di produttività notevolmente superiori in confronto ad altri. Nella produzione del ferro in Inghilterra sembrerebbe che tra il 1350 e il 1550 la produttività globale sia aumentata di sette od otto volte. Un altro settore dove l’innovazione tecnologica impresse un eccezionale aumento di produttività fu quello librario. Da un punto di vista estetico è assurdo comparare un codice manoscritto con un volume a stampa, ma dal punto di vista della diffusione delle idee non è assurdo comparare il numero di codici che un amanuense poteva approntare in un anno e il numero di volumi che un tipografo poteva tirare in uno stesso periodo. In effetti dopo l’invenzione di Gutenberg continui perfezionamenti furono apportati al nuovo sistema di produzione con conseguenti continui aumenti di produttività. I primi stampatori riuscivano a tirare sì e no 300 pagine al giorno. Ai primi del Settecento due stampatori potevano tirare circa 250 pagine all’ora. Nel settore della navigazione il rapporto equipaggio-carico progredì anche se le necessità di difesa frenarono sensibilmente tale progresso. Il rapporto equipaggio-carico era in media di un marinaio ogni 5-6 tonnellate attorno al 1400. Alla metà del secolo XVI il rapporto era di un uomo per ogni 7 o 8 tonnellate. Quando la pace o la ridotta pirateria limitarono le necessità di difesa il rapporto scese fino ad un uomo ogni 10 tonnellate. Ovviamente questi miglioramenti del rapporto equipaggio-carico vanno considerati congiuntamente ai progressi notevoli nella velocità e sicurezza delle navi e nel loro tasso di utilizzazione.

Gli sforzi furono soprattutto diretti a sostituire i fattori di produzione più scarsi aumentandone nel contempo la produttività specifica. Nel 1402 gli amministratori della Fabbrica del Duomo di Milano studiarono la proposta di una macchina per tagliare le pietre che con l’impiego di un cavallo (che costava 3 soldi al giorno) avrebbe dovuto fare il lavoro per il quale sarebbero normalmente occorsi quattro uomini (con paga di soldi 13 1/3 al giorno per uomo). Pochi anni dopo gli stessi amministratori studiavano il progetto di un’altra macchina – questa per il trasporto del marmo – che avrebbe dovuto permettere di ridurre a un terzo il personale normalmente occorrente.

Fondamentalmente alla base della maggior parte delle innovazioni stava sempre la necessità di sfruttare in maniera più efficiente le scarse disponibilità di energia. Si è già detto degli sviluppi della nave a vela. Notevoli sviluppi si ebbero nel corso dei secoli nella costruzione dei mulini che divennero macchine via via sempre più efficienti. Nel Duecento la maggior parte dei mulini ad acqua avevano ruote dal diametro variante tra 1 e 3,5 metri con una potenza corrispondente di 1 a 3,5 cavalli. Nel secolo XVII si arrivò a costruire mulini con ruote di 10 metri di diametro, ma la maggior parte dei mulini continuarono ad essere costruiti con ruote dal diametro variante tra i 2 e i 14 metri. I costruttori preferirono in genere aumentare il numero delle ruote di un singolo mulino anziché affrontare i grossi problemi tecnici posti dalla concentrazione di una notevole massa di energia idraulica su una sola ruota. Quanto al mulino a vento c’è da notare che agli inizi tutta la macchina era costruita su un palo in modo da poterla ruotare secondo la direzione del vento. Questo fatto ne limitava drasticamente le dimensioni. Col Trecento però comparve il mulino a torretta: in questo tipo di macchina l’edificio e il macchinario sono costruiti solidamente sul terreno e solo la torretta in cima all’edificio è girevole per prendere il vento nella direzione giusta. Questa innovazione permise la costruzione di mulini a vento di maggiore dimensione e di maggior potenza: in effetti si arrivò a costruire mulini a vento con la potenza di 20 o anche 30 cavalli.

Carlo M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna 1997.

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