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- Ragione.
1 INTRODUZIONE
Ragione Termine fondamentale del linguaggio della filosofia, che ha assunto nella sua storia una molteplicità di significati. Fra questi se ne possono distinguere due fondamentali: 1) ragione intesa in senso metafisico, come principio e fondamento della realtà; 2) ragione come facoltà del pensiero dell'uomo e guida della sua condotta etica. Entrambi questi significati si possono far risalire alla filosofia greca, nella quale ricorre il termine "logos" sia per designare la legge essenziale di tutta la realtà, sia per designare la capacità dell'uomo di ragionare e di discorrere. In questa seconda accezione la ragione è intesa anche come dianoia, cioè come facoltà discorsiva, ed è contrapposta all'intelletto (in greco, nous), ossia alla capacità di cogliere intuitivamente le verità prime da cui muove ogni ragionamento.

2 LA RAGIONE COME FONDAMENTO DELLA REALTÀ

Nella prima accezione, la ragione come logos fa la sua apparizione nella filosofia di Eraclito e trova la sua espressione più conseguente nella filosofia degli stoici. Questi intendevano il logos come la legge che governa tutte le cose, ossia come l'ordine razionale della natura e del cosmo, seguendo il quale l'uomo conduce una vita giusta e felice.

Questa concezione della ragione, la cui evoluzione coincide con le diverse riprese del termine logos nella filosofia greca e nel pensiero cristiano dei padri della Chiesa, torna anche nella filosofia moderna, in un contesto problematico molto diverso, nel sistema di Hegel. Egli infatti concepisce la ragione (da lui denominata anche Idea e Spirito), come la legge immanente della realtà nel suo sviluppo naturale e storico. Fondamentale per Hegel è infatti l'identificazione di pensiero (ragione) ed essere (realtà). Al tempo stesso egli situa la ragione, intesa anche come conoscenza dell'Assoluto, al di sopra dell'intelletto, che consiste nella facoltà di astrazione e nella conoscenza del particolare. Per Hegel la ragione, sia come fondamento della realtà sia come conoscenza della totalità del reale, procede secondo un ritmo di tipo dialettico, che, passando attraverso antitesi e contraddizioni, perviene a collegare nella sintesi i diversi momenti della realtà che l'intelletto coglie separatamente.

3 LA RAGIONE COME FACOLTÀ UMANA

È celebre la definizione dell'uomo come "animale razionale" data dal filosofo greco Aristotele. Egli concepisce la ragione come la capacità di svolgere correttamente deduzioni di tipo sillogistico a partire da date premesse; per questa sua funzione essa si distingue dall'intelletto, che è la capacità di cogliere i principi primi delle scienze in maniera intuitiva, senza avvalersi di passaggi discorsivi. In un diverso contesto problematico, sia i filosofi neoplatonici sia il pensatore cristiano Agostino subordinano la ragione all'intelletto, proprio perché essa rimane una conoscenza discorsiva inferiore alla conoscenza puramente intuitiva del secondo. Dio, secondo i filosofi cristiani, come ad esempio san Tommaso d'Aquino, conosce tutto intuitivamente, senza conquistare le verità una a una attraverso ragionamenti.

3.1 Filosofia moderna

Nella filosofia moderna la ragione è concepita in stretta aderenza ai nuovi problemi della teoria della conoscenza o gnoseologia. Cartesio la identifica con il "buon senso", "per natura uguale in tutti gli uomini", e la definisce come "capacità di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso".

Dal canto suo, Hobbes concepisce invece la ragione come una sorta di "calcolo" che opera su termini o nomi universali. Riallacciandosi alla tradizione del nominalismo medievale, egli vede la funzione della ragione nel sommare nomi o sottrarre nomi da altri nomi: ad esempio, se al termine "corpo" aggiungo i termini "anima" e "ragione" ottengo l'idea e il nome di "uomo"; se viceversa sottraggo al termine "uomo" il termine "ragione" ottengo l'idea e il nome di "animale".

Perlopiù si suole distinguere nella filosofia moderna due indirizzi fondamentali, nei quali prende rilievo il concetto di ragione come facoltà conoscitiva: il razionalismo e l'empirismo. Per i filosofi razionalisti, a partire da Cartesio, la ragione opera sulle idee innate con il metodo della dimostrazione e della deduzione. Per i filosofi empiristi, che a partire da Locke rifiutano la concezione dell'innatismo, essa si rivolge all'esperienza e ai dati sensibili, cercando via via di ordinarli e di collegarli. Entrambi i punti di vista furono determinanti per le origini dell'illuminismo del XVIII secolo.

Nel pensiero illuministico di filosofi come Voltaire, Diderot e d'Alembert, la ragione è intesa come la suprema istanza critica nei confronti di ogni tradizione e autorità. Per questi pensatori la ragione non costituisce più un patrimonio di idee innate, date prima di ogni esperienza (cioè a priori), ma indica veramente una facoltà, ossia una capacità di analisi e di sintesi che si può comprendere soltanto nel suo esercizio e nella sua esplicazione.

3.2 La concezione kantiana

Decisivo è l'impiego che, nella seconda metà del XVIII secolo, il filosofo tedesco Kant fa del termine ragione. Nella sua Critica della ragion pura egli intende tale termine in una triplice accezione: 1) come facoltà del conoscere in generale; 2) come funzione attiva o spontanea del conoscere, in opposizione alla sensibilità, che è invece una facoltà passiva o ricettiva; 3) come terza facoltà, accanto alla sensibilità e all'intelletto. In quest'ultimo senso la ragione cerca di operare facendo a meno dei condizionamenti dell'esperienza e pretende, in maniera infruttuosa, di estendere fino a una conoscenza incondizionata e assoluta la tendenza dell'intelletto a unificare i fenomeni secondo regole. Se sul piano conoscitivo la ragione non può che mancare questo obiettivo, essa tuttavia si rivela feconda come guida della condotta. Proprio in quanto prescinde dall'esperienza e dalle inclinazioni sensibili dell'uomo, la ragione diventa il fondamento della legge morale, esprimendosi nell'imperativo categorico, che ci impone di seguire soltanto quella massima della nostra condotta che può valere universalmente, ossia per tutti gli uomini e in tutte le circostanze.

3.3 Filosofia contemporanea

Nella filosofia contemporanea il concetto di ragione è stato ripreso in funzione limitatrice delle pretese metafisiche della tradizione filosofica precedente: nelle correnti filosofiche di matrice positivistica la ragione non è più opposta all'intelletto, ma alla pretesa del pensiero metafisico di una conoscenza esaustiva della realtà, priva di una verifica e di un controllo sperimentali. Nella fenomenologia di Husserl la conoscenza razionale è strettamente congiunta alla nozione di "evidenza", come maniera privilegiata in cui i fenomeni si manifestano intuitivamente alla coscienza.

Non sono tuttavia mancate, nella filosofia del Novecento, posizioni di carattere irrazionalistico, che, riallacciandosi al pensiero di Schopenhauer, di Kierkegaard e di Nietzsche, hanno inteso limitare o ridimensionare la funzione della ragione rispetto all'intuizione (come nel caso di Bergson), o rispetto ad altre dimensioni dell'uomo (come nel caso dei pensatori esistenzialisti).
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